Sulle tracce degli indigeni nel territorio di Kroton

Al momento dell’impianto della colonia achea di Kroton, il suo territorio, assai fecondo e ben posizionato strategicamente, ma anche i territori limitrofi (la c.d. Crotoniatide), non era deserto, bensì era abitato da un popolo autoctono. Vogliamo dare voce a questo popolo cercando di capire quale fu il suo destino all’arrivo delle navi achee.

Partendo dalle fonti letterarie, possiamo dire che le leggende relative alla fondazione di Kroton (Eracle che uccide Crotone ad es.) basate su atti sanguinosi, violenti, sono sintomatiche dell’elaborazione greca di un rito di passaggio dal disordine, dovuto alla presenza indigena sul territorio, non organizzata e strutturata secondo gli schemi di ordine e civiltà elleniche – per i Greci, dunque, il caos – all’ordine, ottenuto per mezzo della razionalizzazione urbanistica, cultuale e politica data dai Greci. Questa visione giustifica, dunque, la concezione ellenica di chora eremos (“territorio deserto”) nel caso di territori occupati dagli indigeni.

Dai dati oggi in possesso, invece, si evince che quanto ci hanno tramandato i Greci è solo, ovviamente, la loro versione della storia e che durante l’età del Ferro la comunità indigena era ben stanziata sul territorio in questione mediante una tipologia insediativa detta “cantonale”. Ciò equivale ad una disposizione di insediamenti minori, a dominio delle valli fluviali, a corona intorno al terrazzo crotonese, il quale costituiva l’abitato principale. Si tratta di insediamenti che possono essere identificati mediante le loro necropoli dislocate in vari punti della provincia di Crotone: Catalano, Vituso, Santa Domenica, Guidonello, Manca della Vozza; presumibilmente tali stanziamenti erano preposti, oltre che alla difesa e al controllo del territorio, anche allo sfruttamento agricolo e delle risorse. Si nota, pertanto, come nella Crotoniatide vi fosse una realtà molto simile a quella contemporanea della Sibaritide.

All’interno dei singoli siti, era consuetudine degli autoctoni occupare il territorio mediante arroccamento su terrazzo o altura dominante, probabilmente organizzandosi in clan familiari allargati che utilizzavano una tipologia abitativa di gruppi isolati di capanne. Questo si desume dal ritrovamento di frammenti di ceramica dell’età del Ferro di produzione epicoria in diversi punti della città moderna di Crotone. Una “fruttiera” a quattro prese (conservata nel Museo archeologico di Crotone) è stata trovata presso il cantiere ex Calabro-Lucane (via Firenze), così come frammenti di una tazza di impasto scuro dal profilo carenato e una coppa di impasto scuro, carenata e con ansa semilunata, un vaso con decorazione a cordonatura esterna applicata. Sempre riferibili alla medesima cronologia sono i ritrovamenti effettuati da Sabbione: una forma chiusa rinvenuta nell’area della Banca Popolare di Crotone, una ciotola in via XXV Aprile, fibule ad arco semplice in via Tedeschi. A nord, presso contrada Vigna Nuova, sono state individuate alcune buche da palo presenti nel banco d’argilla vergine e, in giacitura secondaria, frammenti in impasto, di ceramica e di fusaiola, e frammenti di fibula a quattro spirali (simile al tipo rintracciato a Torre Mordillo). Dallo strato di riempimento di XV sec. d.C. della Torre Comandante del Castello provengono alcuni frammenti di ceramica in impasto in modo generico associati ad età protostorica, ma non meglio specificata. Inoltre, probabili tracce di capanne indigene sono da individuare sia presso il campo sportivo, dove sono state riconosciute buche di palo, su file parallele ad andamento curvilineo, associate a ceramica protocorinzia, sia presso la Banca Popolare di Crotone, dal cui scavo sono emersi materiali di VII sec. a.C. all’interno di un focolare presso il quale vi erano buche di palo.

Solitamente in archeologia per avere maggiori testimonianze materiali mobili di una società bisogna osservare i contesti sepolcrali: molto più ricco è il quadro che ci restituiscono le tombe della Crotoniatide rispetto a quelle di Crotone. Le sepolture indigene sono attestate, per lo più attraverso la tipologia delle inumazioni entro fossa rivestita e coperta da lastre di pietra, a Cirò, Strongoli, Scandale e forse anche a Cutro. Tali tombe contenevano corredi sepolcrali composti da oggetti che permettono di distinguere il sesso del defunto, poiché le fibule bronzee (a quattro spirali, a navicella, a disco, ad arco) e i gioielli (braccialetti, anelli, pendagli) identificano gli individui femminili autoctoni, invece armi e rasoi contraddistinguono le sepolture maschili.

Fibule bronzee da Cirò

Attraverso i reperti recuperati da tali contesti è possibile, inoltre, ricostruire l’economia indigena dell’età del Ferro, florida perché basata non solo sullo sfruttamento agrario, ma anche sull’artigianato locale e sui rapporti commerciali intrattenuti con i mercanti greci che raggiunsero questi luoghi prima ancora di colonizzarli. Importanti informazioni anche sulla sfera sociale si possono, poi, ricavare dai corredi sepolcrali, poiché l’agiatezza qui ostentata mostra una ricchezza di risorse che implica necessariamente una maggiore organizzazione a livello sociale ed una conseguente stratificazione della società indigena. Dai dati analizzati, pertanto, risulta verosimile nel mondo indigeno l’affermarsi di un’aristocrazia, il cui potere traspare dal simbolismo militare (armi) presente, come si è visto, nella sfera ideologica (funeraria), ma anche dalla tesaurizzazione di oggetti dall’alto valore di scambio, come indicano i depositi di asce di Fossa dell’Acqua e Sant’Elia.

La presenza di armi nei corredi sepolcrali porta a pensare ad un popolo che può difendersi dagli “stranieri”, nel nostro caso dai Greci, perciò gli studiosi hanno dibattuto a lungo su quali furono le modalità di inserimento della società autoctona all’interno del fenomeno della colonizzazione greca della Crotoniatide e di Crotone. Si trattò di conquista ellenica violenta a seguito di lotte contro la resistenza degli indigeni o, al contrario, di pacifica integrazione di questi ultimi? Ovviamente non esiste un modello universale.

Corredo di tomba maschile da Scandale, VIII sec. a.C.

Di certo, il fatto che i due maggiori centri indigeni della Crotoniatide, Murge di Strongoli e Cirò, sopravvissero all’arrivo degli Achei e l’utilizzo di armi nei corredi ancora nel VII secolo a.C. (indicanti la condizione libera degli indigeni) sembra confermare l’ipotesi di una blanda e graduale integrazione dell’elemento indigeno nel contesto greco della Crotoniatide.

A Kroton, invece, i dati deducibili dalla necropoli della Carrara sembrano portare ad un’ipotesi diversa. La necropoli della Carrara costituisce il più esteso cimitero di Kroton, essa fu utilizzata ininterrottamente dai crotoniati dalla fine dell’VIII sino al III sec. a.C., e dalle prime indagini (1973) essa ha restituito oltre 700 tombe, di cui poco meno della metà prive di corredo, dunque di difficile datazione. Nel tentativo di riconoscere in quali sepolture vennero deposti gli indigeni non ci offre aiuto conoscere la molteplicità delle forme sepolcrali: inumazione in fossa, alla cappuccina o in cassa di embrici spesso rinforzati con coppi poligonali, a enchytrismos. Solo due fibule bronzee ad arco serpeggiante di tipo ‘siciliano’, costituiscono la traccia di corredi appartenuti ad individui indigeni (donne) ed aprono a due possibili scenari.

Ricotruzione corredo femminile indigeno della Tomba 28 (VIII sec. a.C.) di S. M. d’Anglona

Il primo scenario è quello condiviso dalla maggior parte degli studiosi e vede le donne indigene entrare a far parte della società ellenica attraverso la loro unione in matrimonio con i primi coloni achei. Le donne indigene, dunque, avrebbero portato con sé nella tomba queste fibule come simbolo della propria identità culturale, all’opposto, gli indigeni ridotti in schiavitù (soprattutto di sesso maschile) sarebbero stati seppelliti in tombe prive di corredo. Nel secondo scenario, sostenuto da alcuni studiosi, potrebbe essere stata la comunità indigena ad ispirare ai Greci l’assunzione delle costumanze locali, introducendo le fibule epicorie nel corredo di individui greci in quanto oggetti protagonisti di mode e di tendenze, oltreché indicativi di elevato status sociale.

Giusy Gentile
archeologa classica

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